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L’Abbaglio di Roberto Andò è uscito nelle nostre sale la scorsa settimana e sono corsa a vederlo. Un film in costume, sulla spedizione dei Mille, con Tony Servillo e Ficarra e Picone. Un film che racconta di sogni e speranze, di un’impresa che costò la vita a molti ma dalla quale nessuno poteva esimersi. Un film su un futuro che si sarebbe realizzato comunque, al suono di zoccoli tonanti e rombi assordanti.
1860, l’impresa garibaldina è stata allestita e la spedizione dei Mille sta per cominciare. A guidarla c’è il tenente colonello Vincenzo Orsini (Tony Servillo), siciliano di origine e pronto a scontrarsi con il suo passato, dato il suo trascorso nell’esercito borbonico. All’arruolamento che ha luogo a Quarto, un comune di Genova, si presentano tra i vari volontari Domenico Tricò (Salvatore Ficarra), un contadino claudicante, e Rosario Spitale (Valentino Picone) un abile truffatore. Nonostante non abbiano nessuna carta in regola, i due vengono arruolati comunque, dal momento che serve tutto l’aiuto possibile.
Tricò e Spitale, però, non sono mossi dal sogno garibaldino di unire l’Italia, ed utilizzano l’arruolamento solo per tornare in Sicilia. Di fatto, alla prima occasione, ovvero con lo sbarco a Marsala, i due disertano, pensando di farla franca. Non sanno che il destino, per loro, ha un altro piano.
Forse ci siamo illusi, esattamente come i personaggi di questa pellicola, che unire l’Italia equivaleva a rendere coesa una nazione che, prima di allora, non poteva neanche immaginare un concetto di quella portata. Essere, per secoli, sotto il dominio di popoli diversi ha contribuito a rendere netta la differenza tra Nord e Sud, e lo possiamo vedere nei dialetti (che prima erano una vera e propria lingua), nelle usanze, nella cultura, nel modo di pensare.
Questi elementi sono tutti presenti nel film, lo possiamo vedere dalle diversità che corrono tra i militanti provenienti dal Nord del paese, come il sottoufficiale Ragusin (Leonardo Maltese), originario del Veneto che si trova a doversi destreggiare con i siciliani, alcuni calorosi e benevoli, alcuni diffidenti e…pericolosi.
Ciò che è interessante notare è il fatto che la pellicola offre, attraverso i personaggi, molteplici punti di vista: Tricò e Spitale sono dei disertori, è vero, ma sono anche persone che se l’Italia è unita o meno, a loro cambia poco. Sono persone umili, abituate a vivere alla giornata e a guadagnarsi il pane lavorando (questo vale per Tricò, Spitale il pane lo vinceva barando ad una partita a carte) e quindi magari ne capiscono poco di geopolitica. Loro una sola lingua parlano, quella del denaro, e i sogni sono un lusso che non si possono permettere.
Il Colonnello Orsini è, invece, un uomo istruito, abituato fin da ragazzo ad ubbidire e, successivamente, a comandare. Ligio al dovere e dedito a fare del bene, si è lasciato presto convincere da Garibaldi che l’Italia unita poteva essere un punto di forza, creare una nazione era l’occasione di avere un posto a tavola tra le grandi d’Europa. Ha preso il sogno di Garibaldi e l’ha fatto suo, convinto che uniti, come un grande esercito, si potesse liberare la Sicilia (la sua Sicilia) da quella gentaglia che la imputridiva.
Il Colonnello Orsini ha creduto ad un sogno che era l’Italia, e con questo film ci abbiamo creduto anche noi, ma se oggi, a distanza di 164 anni dall’Unità, Orsini potesse essere presente, si renderebbe conto che sì, l’Italia sulla carta è unita, ma nel concreto la distanza tra Nord e Sud è diventata abissale. Il taglio che separa la nazione, nel corso del tempo è diventato sempre più netto e lascia indietro le persone, quelle persone che il Colonello Orsini voleva salvare.
E se quindi è vero che “O si fa l’Italia o si muore” è anche vero che l’Italia, come l’hanno immaginata, rimane solo un sogno.
Scritto da: Marta Cervellino
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