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Pensioni: “Opzione Tutti” per lasciare prima il lavoro, il piano del governo Meloni

todayOttobre 17, 2022

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Pensioni: “Opzione Tutti” per lasciare prima il lavoro, il piano del governo Meloni

Se ne parla da qualche giorno, c’è una possibile novità sul fronte delle pensioni una volta che il governo, presumibilmente guidato da Giorgia Meloni, si sarà insediato. E non sarebbe di poco conto. Si torna a parlare di “Opzione Tutti” per lasciare il lavoro, che qualcuno vorrebbe rinominare “Opzione Uomo”: ovvero, andare in pensione anticipatamente rispetto ai paletti stabiliti dalla legge Fornero, magari già da 58 anni, tuttavia con un taglio dell’assegno sostanzioso, fino al 30%. Prenderebbe il nome di Opzione Uomo perché altro non sarebbe che un allargamento a tutti degli attuali requisiti di Opzione Donna. Una “toppa” per evitare un ritorno troppo brusco alla legge Fornero, in attesa della vera riforma delle pensioni. Siamo ancora alle indiscrezioni, ma il piano sembra praticabile. Per più di un motivo, come vedremo.

Opzione Tutti, oppure Opzione Uomo: come funziona

Opzione Tutti, oppure Opzione Uomo che dir si voglia, vedrebbe un ricalcolo dell’assegno mensile totalmente col sistema contributivo. Sarebbe impostata in tutto e per tutto sulla struttura di Opzione Donna, una flessibilità sostenibile per i conti pubblici. Tornare al contributivo significa, in parole povere, tornare al meccanismo in cui ciascuno riceve da pensionato quel che ha versato nella sua vita lavorativa. Opzione Donna è la formula agevolativa per l’uscita anticipata dal mondo del lavoro riservata alle lavoratrici, introdotta in via sperimentale dalla Legge Maroni 243/04, riproposta dalla Riforma Pensioni Fornero e infine prorogata negli ultimi anni dalle diverse manovre economiche, fino a quella 2022 del governo Draghi.

attestazione soa
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Opzione Donna prevede la pensione anticipata con 58-59 anni di età e 35 anni di contributi col ricalcolo contributivo. Non sempre è conveniente, conti alla mano: per le donne in determinati casi ha tagliato fino al 33% l’assegno. Chi sceglie Opzione Donna rinuncia al calcolo misto o retributivo (più vantaggioso) sulla quota di contributi eventualmente versati prima del 1996, ricevendo un assegno pensionistico calcolato esclusivamente ed interamente con il sistema contributivo. Il taglio non è sempre del 33%, dipende dai contributi versati nel corso della propria carriera. Si va da una decurtazione del 10 per cento circa in su. Sull’ammontare della pensione di ciascuno peserebbero il ricalcolo contributivo degli anni retributivi pre-1996, ma in proporzione ancora di più gli anni di uscita anticipata dal lavoro.

Nel 2022 l’85% circa dei pensionati è nel sistema misto: una quota retributiva sempre più piccola maturata fino al 1995 e poi tutto contributivo. Questo si traduce in un assegno per il 65% calcolato secondo il metodo contributivo, senza prendere in considerazione dunque gli ultimi stipendi. Il taglio diventa sempre più “leggero” anno dopo anno. Il vantaggio di Opzione Tutti è quello di dare una libertà di scelta: via dal lavoro quando si vuole, ma si riceve quanto versato: il peso sui conti pubblici è solo come anticipo di cassa e non come spesa viva.

Quota 41 è l’altra ipotesi (ma costa troppo)

L’alternativa è sempre Quota 41, ovvero la pensione con 41 anni di contributi a qualsiasi età, che avrebbe però un costo molto maggiore (anche se le stime sono parecchio divergenti l’una dall’altra). Con l’estensione a tutti di Opzione Donna, il nuovo governo Meloni potrebbe dire di aver realizzato una delle tante promesse elettorali (garantire più flessibilità in uscita), senza rifilare al contempo una mazzata ai conti pubblici. Dal 1 gennaio 2023, i requisiti Fornero saranno gli unici a cui guardare, se il nuovo esecutivo decidesse di non intervenire in alcun modo: 67 anni di vecchiaia (con 20 di contributi) oppure 42 anni e 10 mesi di contributi a prescindere dall’età (un anno in meno per le donne). I tempi sono troppo limitati per una riforma più organica di tutto il sistema pensionistico già nella prima legge di bilancio della legislatura. Un confronto con tutte le parti sociali avrà luogo, ma non potrà ragionevolmente concludersi entro la fine del 2022.

In mezzo alla ridda di voci, qualche certezza però c’è: dal mese di gennaio le pensioni saranno rivalutate del 7,9%, per recuperare l’inflazione di quest’anno. Solo questo farà aumentare la spesa pensionistica, e non di poco; a fine 2025 sarà il 17,6% del Pil, 100 miliardi in più rispetto a un decennio fa.

Credits: today

fondo nuove competenze
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Scritto da: ester.cavallo

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